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346 | annotazioni. |
Autore, singolarmente in questo luogo (e di ciò potrà di leggieri accorgersi chiunque nella lettura de’ Dialoghi di quel Filosofo anche mezzanamente versato sia); poscia dello spirituale, così propriamente detto, ovvero divino; all’ultimo del sostanziale, cioè di Dio Spirito Santo, del quale ben due volte dice apertamente il diletto Discepolo nel cap. IV della sua Ia lettera, che Charitas est.... Questo passo.... è uno de’ più belli del Cortegiano, e in cui gareggia la sublime eloquenza colla sincera religione di questo gran cavaliere e letterato. Gaetano Volpi.
Pag. 302, lin. 27. — La bellezza, anche de’ corpi, si è un raggio, come di sopra dicemmo, benché tenuissimo, della divina bellezza. Ed è vero il concetto di Dante Alighieri là nel principio del suo Paradiso:
La gloria di Colui che tutto muove |
Pag. 303, lin. 13. — Per l’ambrosia e nettare qui s’intende la visione e fruizione divina. Ciccarelli.
Pag. 303, lin. 32. — Ritorna di nuovo a ragionare secondo i Platonici, i quali pongono quattro sorte di furore: l’uno è delle poesie, l’altro dei misterii, il terzo de’ vaticinii, il quarto degli amori, più potente ed eccellente di tutti gli altri. Ciccarelli.
Pag. 303, lin. 33. — ora che par più non m’aspiri. Preferiamo questa lezione delle Aldine del 1541 e del 1547, seguita dalla maggior parte delle antiche edizioni, a quella delle altre Aldine, restituita dai Volpi, e conservata nelle edizioni posteriori, ora che par che più non m’aspiri.
Pag. 304, lin. 8. — È detto per burla, che alle donne sia impossibile il camminare per la strada che conduce alla felicità; e poco di sotto efficacemente si confuta. Ciccarelli.
Pag. 304, lin. 26. — Diotima, fra l’altre cose amorose ch’insegnò a Socrate, come Platone riferisce, fu d’ascendere per grado dalla bellezza del corpo a quella dell’anima, e da quella alla bellezza angelica, donde poi alla somma bellezza divina si perveniva. Ciccarelli.
Pag. 304, lin. 31. — dall’amor. Così corresse il Dolce; le Aldine e le altre antiche dell’amor.
Pag. 307, lin. 13. — Da questo Proemio si vede, che il Conte s’era indotto a scrivere il suo libro per compiacere al re di Francia, e però