Pagina:Catullo e Lesbia.djvu/142

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136 di alcuni traduttori di catullo.

son qua e là intarsiate in codesto romanzo epico, legga questi quattro versi che traducono il nec mala fascinare lingua del bellissimo carme sui baci:

Et je veux que la pâle et mordante satire,
Qui, répandant partout son venin plein d’horreur,
Donne à la vertu même une noire couleur,
N’ose pourtant blâmer l’amour qui nous inspire!

La quaresima in pieno carnevale! Catullo doventa frate: Lesbia l’avrebbe messo subito alla porta.

Meno infelici di queste sono le imitazioni del Pelisson, del De Tuvigny, del Dorat e del conte di Bussy-Rabutin; ma dobbiamo convenire che il povero Catullo non ha avuto in Francia una gran fortuna.


II.


E in Italia? Se Messenia piange, Sparta non ride. Traduttori famosi di questo o di quel carme abbiamo parecchi: bastano il Foscolo e il Conti per tutti, ma traduzioni generali di Catullo che non ci facciano ridere o vergognare, tolta quella del Puccini e la recentissima del Bocci, di cui non devo parlare, possiamo dire a dirittura di non averne.

Il Puccini è buon latinista; traduttore piuttosto fedele, verseggiatore discreto; manca però di sentimento; intende Catullo, ma non lo sente; l’interpreta, non lo traduce.

I suoi versi sono senza rilievo, senza colore, non hanno il fuoco dell’anima, non risentono della situazione in che furono scritti; possono adattarsi a questo