Pagina:Chi l'ha detto.djvu/240

Da Wikisource.
208 Chi l’ha detto? [666-667]

666.   Il mondo va da sè.

Il conte Vittorio Fossombroni (1754-1844), insigne matematico e idraulico, che Pietro Leopoldo nominò soprintendente delle colmate della Val di Chiana e Napoleone apprezzò; sotto Ferdinando III e Leopoldo II, ministro degli esteri; memorabile per avere con gli scritti e con l’opera mantenuta alla Toscana la libertà commerciale e, quel che è più, la libertà da ogni ingerenza straniera; ma troppo facile, come ben disse il Capponi, a transigere con tutte le nuove idee ch’egli vide sorgere durante la vita, «ne se donnant jamais la peine de travailler pour l’avenir», ebbe a suo motto di governo questo (che altri citano in altra forma: le cose vanno da sè); e il Tommaseo (Di G. P. Vieusseux e dell’ andamento della civiltà italiana in un quarto di secolo, 2a ediz., 1864, pag. 70) diceva che egli «così scusava la trascuraggine sua; trascuraggine ingegnosa ed amena, propria a certi Toscani dell’età passata (e Dio non voglia, della presente), de’ quali egli era un istorico e quasi ideale modello»; e più oltre (pag. 110), parlando della fine del Fossombroni che «morì, come certi ingegnosi sogliono, a tempo per non dover confessare che il lasciar andare le cose da sè fa andar via da ultimo e i principi, e, quel che più monta, i ministri de’ principi».

Parlando dei partiti sociali e del loro avvenire, ci siamo allontanati alquanto dal nostro primo argomento. Il bisogno di una educazione politica e sociale delle masse spinse Massimo d’Azeglio, a scrivere che:

667.   S’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’Italiani.

nella prefazione dei Miei Ricordi. Il periodo intero così suona: «Il primo bisogno d’Italia è che si formino Italiani dotati d’alti e forti caratteri. E pure troppo si va ogni giorno più verso il polo opposto: pur troppo s’è fatta l’Italia, ma non si fanno gl’ItalianiFerdinando Martini narra nell’Illustrazione Italiana, del 16 febbraio 1896, a pag. 99, che il D’Azeglio avrebbe detto in presenza di lui e di altri a Montecatini, in un colloquio di cui diffusamente narra l’occasione: «Se vogliono fare l’Italia, bisognerà che pensino prima a fare un po’ meno ignoranti gli Italiani»: e lo stesso racconto è ripetuto nel volume di Americo