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34 | novelle di canterbury. |
alla vita come un frate, e cavalcava sempre in coda alla brigata.
C’era, con noi, anche un usciere del tribunale ecclesiastico, con una faccia da cherubino, rossa come il fuoco per uno sfogo che gli era venuto fuori. Aveva gli occhi piccolissimi, ed era caldo e lascivo come un passerotto. Le ciglia spelate e la barba mezza spelacchiata lo faceano sí brutto, che i bambini ne avevano un gran terrore. Mercurio, piombo bianco, zolfo, borace, biacca, tintura di tartaro, unguenti, tutto era inutile: non era possibile trovare una medicina, che gli facesse sparire dal viso tutte quelle pustole bianche, e gli spianasse i bernoccoli che aveva sulle gote. Faceva delle gran mangiate d’aglio, di cipolla, di porri, e ci trincava sopra del vino generoso e rosso come il sangue, chiacchierando e gridando come un ossesso. Quando poi aveva bevuto ben bene, allora cominciava a parlare in latino. Stando tutto il giorno al tribunale in mezzo alle sentenze e ai decreti, niente di più naturale che qualche frase latina gli fosse rimasta in mente: del resto,