Pagina:Chiarini - Dalle novelle di Canterbury, 1897.djvu/151

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78 novella del cavaliere.


Arcita dopo avere girato qua e là per un bel pezzo, cantando la sua canzone di Maggio, improvvisamente divenne muto e pensieroso, come fanno quei beî tipi degli innamorati; i quali un momento sono su in paradiso, un minuto dopo giú nell’inferno;6 e vanno su e giú come un secchio nel pozzo. Poiché l’incostante Venere rende mutabile, a un suo comando, l’animo dei sudditi, come il giorno a lei sacro. Infatti il venerdí ora c’é il sole, ora piove a catinelle: raramente è uguale agli altri giorni della settimana.

Finito il suo canto, Arcita cominciò a sospirare, e si mise a sedere lì nel bosco, dicendo: “Maledetto il giorno che sono nato! Per quanto tempo ancora, o Giunone crudele, vorrai far guerra alla città di Tebe? Estinta è oramai la regale progenie di Cadmo e di Amfione: di Cadmo che fu il primo fondatore di Tebe, il primo a governarla e ad esserne incoronato re. Io sono del suo sangue, suo discendente in linea diretta, ed appartengo proprio al ceppo reale; ed ora eccomi qua, ridotto così disgraziato e vile, che non mi vergogno di servire, come mi-