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Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/131

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124 ciceruacchio e don pirlone

Frattanto l’eco degli atti clementi e liberali di Pio IX e dei festeggiamenti popolari di Roma e delle provincie soggette al Pontefice si diffondeva, rapidamente, in Toscana, nel Napoletano, in Sicilia, nel Piemonte, nei Ducati, nel Lombardo-Veneto e vi suscitava un’agitazione, un fermento, un entusiasmo, un confuso e indeterminato rimescolio di speranze, di desiderii, di disegni, che è più agevole assai immaginare che ridire.

Erano trent’anni che i popoli italiani aspettavano quel giorno! Erano trentanni che aspettavano l’aurora della redenzione!... E, quell’aurora tanto desiderata ed attesa, eccola, finalmente spuntava!... Come rattenere la gioia?... Come impedirne le manifestazioni?...

Ma se i popoli non potevano impedire alla gioia di prorompere come torrente impetuoso, come potevano i governi reazionarii, le efferate polizie contenere e impedire quella gioia che si manifestava con un grido così innocente, così onesto, così ortodosso: Viva il Papa, Viva Pio IX?...

Fu narrato che Cesare Borgia tutto avesse preveduto per mantenere la propria signoria in Romagna pel giorno che il papa Alessandro VI suo padre verrebbe a morte; ma una cosa sola non previde, che egli quel giorno potesse trovarsi gravemente malato, e quell’unica eventualità da lui non preveduta, fu proprio quella che si verificò. Cosi il principe Clemente di Metternich, che, da trentanni, dominava con la sua politica di reazione e di compressione e con straordinaria sapienza ed abilità - è d’uopo confessarlo - l’Italia e faceva prevalere la casa di Absburgo in Europa, ogni possibile contingenza contro quella sua politica aveva calcolato e preveduto, meno una contingenza; un papa liberale; e quella sola eventualità impreveduta fu quella che sopravvenne.

All’apparizione di Pio IX, che avventatamente prendeva gli atteggiamenti del papa liberatore annunciato dal Gioberti, il principe di Metternich confessò il proprio smarrimento1 e, forse, previde la ruina dell’edificio, con tanta rigidità d’animo e con tante crudeltà, da lui tenuto in piedi fino a quel momento.


  1. N. Bianchi, op. cit., vol. V, cap. I, § 5; M. Tabarrini, Gino Capponi e i suoi tempi, Firenze, E. Barbèra, 1879, cap. VII, pag. 265; E. Poggi, op. cit, vol. II, lib. V, cap. IV, pag. 420.