Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/316

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capitolo quinto 309

monsignori, dopo abborracciati vari progetti di statuto, manipolava una costituzione, la quale essendo di per sé, arduo e insolubile problema in uno Stato teocratico quale era il romano, diveniva più che mai imbrogliata matassa, lasciata maneggiare da prelati, ignari affatto di diritto costituzionale e alle libere e rappresentative forme di governo, necessariamente, avversissimi1.

Quello statuto, approvato dal Papa il 14 marzo e pubblicato il 15 era in molte parti simile agli altri, se non che aveva alcuni suoi propri difetti, che quasi ne annullavano affatto l’efficacia. Il Sacro Collegio era dichiarato partecipe alla sovranità e tutte le leggi gli dovevano essere proposte per l’approvazione in concistoro segreto, cosi che non due, ma tre erano le assemblee deliberanti; e la suprema, nella quale riassumevasi il chericato, discuteva e deliberava in segreto, potea contrastare al Parlamento, senza darne, non che ragione, notizia; contraltare al Papa, e fare a lui sopportare il carico delle sue deliberazioni. La censura ecclesiastica rimanea. I Consigli non poteano proporre alcuna legge riguardante affari ecclesiastici, o misti, o che fosse contraria a’ canoni e alle discipline della Chiesa; or in Roma gli sponsali, il matrimonio, gli atti di morte, l’insegnamento, la pubblica beneficenza, i tribunali ecclesiastici, le corporazioni religiose, i beni ecclesiastici e cento altre materie sono tutte o ecclesiastiche, miste, cosi che sottilizzando un po’ come i curiali romani sogliono, non v’era legge civile possibile, che non cadesse nei termini del divieto»2.

Nè questi errino i soli difetti che rendevano irrisoria e nulla quella Costituzione: l’illustre storico, di cui ho riferito lo parole, continua a rilevare altre manifestissime contraddizioni in essa esistenti. Un altro insigne scrittore afferma che lo statuto concesso da Pio IX se ne aveva le parvenze non ne aveva il midollo3. Un altro - che ebbe poscia ufficio di ministro nel go-

  1. P. D. Pasolini, op. cit, ciip. V, § a"; G. La Farina, vol. II, lib. III, cap. IX; L. C. Farini, vol. I, llb. II, cap. XI; F. Torre, op. cit., vol. I, lib. I, il 10; D. Silvagni, op. cit., vol. III, cap. XV.
  2. G. La Farina, vol. Il, lib. III, cap. IX.
  3. N. Bianchi, Storia documentata della diplomazia, ecc., vol. V, cap. II, § 6°.