Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/34

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capitolo primo 27

studiato sonnecchiar della polizia, la libertà concessa ai fiorenti studi, la dolcezza e giustizia delle leggi, quasi tutte razionali e moderne, facevano del bel paese traversato dall’Arno, fin dall’anno 1815, quasi un’oasi, quasi un roseto in paragone dei roveti, più o meno pieni di triboli, degli altri Stati italiani. A Pisa, a Livorno, a Siena serpeggiavano caldi sentimenti di avversione all’Austria e desideri ardenti di più larghe e libero istituzioni, specie fra la gioventù, onde, sul finir del ’15, succeduto al Ministero di don Neri Corsini quello del Baldasseroni, più all’Austria e a’ gesuiti inchinevole, l’affetto verso il principe si andava intiepidendo, ma, ad ogni modo, «chi volesse riferire le lodi tributate al Governo toscano d’allora da uomini liberi e di alto animo, e non in iscritture pubbliche da parere sospette, ma ne’ carteggi familiari riempirebbe volumi»1.

Non dissimili dalle toscane erano le condizioni del Ducato di Lucca; ma là il principe, bisbetico e volubile, libertino e scialacquatore, per velleità di rendersi singolare più che per liberali convincimenti, propenso, da tempo, a concedere ai lucchesi riforme e franchigie, se la Corte di Vienna e Metternich glielo avessero consentito, gravava i sudditi con maggiori tributi e con governo oscillante, capriccioso e disordinato. Oltre di che a Lucca «la parte clericale aveva più autorità e più poteva; ed i disordini e le scioperatezze della Corte eran cagione di altri inali ignoti affatto ai Toscani»2.

Nel Ducato di Modena nel gennaio del ’46 era morto, fra le maledizioni dei sudditi e fra l’esecrazione di tutti gl’Italiani, Francesco IV, un piccolo Tiberio e un piccolo Cesare Borgia del secolo xix, ambiziosissimo, diffidente, tenebroso, sleale, ferocissimo prototipo della reazione sanfedistica, sanguinario e crudele, il quale dal 1822 in poi nel suo piccolo Stato «aveva sottoposti a processo per causa politica trecentoquarantacinque cittadini, e condannati erano stati duecentonovantatre, dei quali cinquantasei alla morte, eseguita contro quattro soli, trentatre alla galera a tempo, ottanta alla reclusione, cin-

  1. Ferdinando Martini, nel Proemio alle Memorie inedite di Giuseppe Giusti, Milano, Fratelli Treves, editori, 1890, § 8, pag. xvi.
  2. Giuseppe La Farina, op, cit., vol. I, lib. II, cap. XXVIII, pag. 617.