Pagina:Ciceruacchio e Don Pirlone.djvu/84

Da Wikisource.

capitolo secondo 77

Fin da giovinetto dimostrò inclinazione alla poesia: onde lesse la Gerusalemme del Tasso e quasi tutti i Drammi del Metastasio, e poi, alla bettola, cominciò, di buon’ora, a improvisare, sopra un argomento dato, ottave - i cui versi spesso non ornavano - in contesa con qualche altro improvvisatore che, a quello stesso argomento, rimbeccava ottave, non meno sconclusionate e degne di un Parnasso che aveva sede nell’osteria di Francesco Mattei a piazza di Spagna, o in quella del Fornaio a via di Ripetta.

Insomma, tenuto conto di tutto, Angelo Brunetti fu piccolo di mente, ma grandissimo di animo, e adorno di una virtù comune, a que’ tempi, a molti altri, ma che pochi, anche allora, possedettero all’alto grado in cui la possedette lui: la virtù del disinteresse e dell’abnegazione; Ciceruacchio ebbe un cuore vergine, suscettibile di ogni entusiasmo, capace di qualunque sacrificio.

Del resto attivo, laboriosissimo, e negli affari molto avveduto, egli potè presto allargare la cerchia delle sue operazioni: a trenti anni, allorché condusse in moglie una buona e graziosa popolana, dello stesso suo rione, Annetta Cimarra1, con quel po’ di dote che gli recò la sposa, e coi suoi primi risparmi, potè acquistare altri due cavalli e altri due carretti, ed estendere la sua industria. Indi a poco principiò ad alternare il trasporto del vino con quello dei cereali e del fieno; poscia accrebbe il numero dei suoi veicoli; cominciò a negoziare direttamente e per conto suo e in vino, e in frumento, e in paglia, e in fieno, e, prosperando ogni di più le cose sue, fra il ’28 ed il ’30 acquistò larghe clientele di forniture di privati e di luoghi pii, e fra questi notevole fu quella dell’arci-ospedale di Santo Spirito.

Noterò qui un tratto che dimostra tutta la scrupolosa rigidezza di quell’anima onesta. Nell’agosto del 1840 egli inviò istanza al commendatore dell’arci-ospedale suddetto, monsignor Cioja, per ottenere la nomina di carrettiere pel trasporto dei vini occorrenti a quel grande Istituto. Ebbene, per non ledere i diritti di colui che in quel momento esercitava quell’ufficio, nella domanda - che esiste ancora nell’archivio dell’ospedale stesso - scrisse

  1. A. Colombo, op. cit, pag. 11.