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SONETTO CII
Vid’io la cima, il grembo, e l’ ampie falde
Del monte altier, che ’l gran Tifeo nasconde,
Fiammeggiar liete, e le vezzose sponde
Del lito bel, di lumi ornate e calde.
Per le tue glorie, che fien chiare e salde,
Mentre stabil la terra, e mobil l’ onde
Vedran, senza timor d’ esser seconde,
Sicchè tal piaga il mondo unqua risalde.
Ovunque mi volgea, trionfo novo
Scorgea per l’ opre degne, e tutt’ intorno
Dell’ alto tuo valor lodi immortali.
Nè questo, Signor mio, fu solo un giorno,
Ma gli anni tuoi sì ben disposti io trovo,
Che nel gran merto i dì fur tutti uguali.
SONETTO CIII
Rami d’ un alber santo, e una radice
Ne diede al mondo; ma son chiare e intere
L’ alme tue frondi, e le mie manche e nere,
Onde diversi frutti Amor n’ elice.
Ben fuora a par di lor suo stil felice,
S’ io per lui degna scorta all’ alte spere
Fuss’ io a Parnaso, l’ altre glorie vere,
Come agli amanti Laura e Beatrice.
Sicchè per far eterna qui memoria
Di lui, volga il purgato e raro stile
A tal, ch’ allarghi il volo ai bei pensieri.
Che poggiando ognor più sua immortal gloria,
Cader non può la mia depressa e umile,
Poi del suo onor vanno i miei spirti altieri.