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SONETTO XCVIII
Per fede io so che ’l Tuo possente e forte
Braccio creò quest’alma, e che venisti
A dare ordine al mondo, onde vestisti
Alto e divino bassa umana sorte;
E che su l’aspra croce acerba morte,
Per l’altrui colpa, umile e pio soffristi,
E chiudesti l’Inferno, ed indi apristi
Per me del Ciel le gloriose porte.
Né, però, T’amo quant’io debbo, ond’io.
Signor, del mio fallir meco mi doglio,
Che forse allunga il fil de la mia vita;
Non ardisco allentar, né men discioglio
Il nodo che legò la Tua infinita
Bontà, ma scopro il giusto desir mio.
SONETTO XCIX
Negar non posso, o mio fido Conforto,
Che non sia dextro il luogo, e ’l tempo, e l’ore,
Per far Voi certo de l’interno ardore
Che cotant’anni dentro acceso porto.
E, perché questo o quell’altro diporto
Sottraggia al sempre procurarvi onore
I sensi, è pur ornai fermato il core
Di non mai volger vela ad altro porto.
M’aveggio or ben ch’ai mondo e sterpi e spine
Torcer non ponno il dextro e saggio piede 10
Dal camin dritto s’ei risguarda al fine;
Ma il proprio amore e la non certa fede
De le cose invisibili divine
Ne ritardano il corso a la mercede.