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introduzione | XIII |
estetiche, nè alle più alte questioni letterarie, le quali ora potessero essere discorse e risolute da chi sapientemente consideri le parti e l’ordine ed il valore del gran poema, non alzavano quegli espositori o alzavano poco la loro mente; e la stessa novità dell’opera era più presto appresa dal sentimento, che non estimata dall’intelletto. Dante, come aveva posto i principii organici della civiltà cristiana, la quale consacra con la presenza della Divinità il perfezionamento morale dell’uomo, sottopone la politica alla morale, è contraria a tutte le esclusioni irrazionali, e tende per sua natura dall’unità all’universalità, così creò una poesia, la quale, innalzandosi alle fonti della creazione infinita, congiunge il tempo con l’eterno e rende immagine della bellezza dell’universo, sovrasta a quella delle genti pagane, e ne fa servire i miti a testimonianza e ad illustrazione del vero, vuol piacere a tutte le nazioni, vuol giovare a tutti gli uomini, e perciò appunto è grandemente italiana. I Classici greci e latini non erano modello agl’imitatori, come poi furono nei secoli susseguenti; nè la sazietà, che dovesse derivare da tutte quelle imitazioni, avea potuto dare origine ad altre tendenze; nè due scuole, l’una inimica dell’altra, si facevano guerra per angustia di dottrine, o con superbia d’intendimenti. Ma le diverse ragioni di tutte queste cose erano già conciliate a bella armonia nel poema di Dante, quantunque non si appartenesse a’ suoi primi espositori, nè al decimoquarto secolo di soddisfare ai bisogni del nostro.
Francesco da Buti fece lettura pubblica della Divina Commedia nell’Ateneo pisano, e poi, mosso dai conforti de’ suoi uditori ed amici, scrisse quel Commento, che, avuto in pregio dai letterati, ma rimastosi inedito in alcune biblioteche, aspettava le cure di chi lo facesse conoscere a tutti gli