Pagina:Commedia - Inferno (Buti).djvu/814

Da Wikisource.
770 i n f e r n o   xxx. [v. 58-69]

percosse lui di uno gran pugno nel volto; e così si cominciarono a villaneggiare insieme l’uno l’altro, come appare nel testo. E dice l’autore com’elli stava tutto attento ad ascoltarli, onde Virgilio lo riprese crucciosamente tanto, che Dante mostrò che molto se ne vergognasse, e tacendo pensava di scusarsi, e non parlando si scusava: imperò che mostrava di riconoscere lo suo errore. Allora Virgilio lo conforta, dicendo ch’elli avea con la vergogna purgato lo suo fallo, e non si desse più tristizia, e che da indi innanzi si guardi di fare restanza a sì fatte cose: imperò che volere udire due garrire insieme è vile desiderio. E qui finisce il canto: ora è da vedere il testo con le allegorie.

C. XXX — v. 58-69. In questi quattro ternari l’autor nostro fìnge che quell’idropico, del quale à detto di sopra, vedendo Dante attendere sopra di lui, li parlasse e manifestasseli chi elli era, e la pena che sostenea, dicendo: O voi; parla a Dante e a Virgilio, e però dice: O voi, che sanza alcuna pena siete, E non so io perchè, nel mondo gramo; cioè nel mondo tristo; cioè nell’inferno, Diss’elli a noi; cioè a me e Virgilio, guardate et attendete Alla miseria del maestro Adamo; quasi dica: Non so per che cagione voi attendete così, e guardate alla mia miseria, che fu’ nel mondo chiamato maestro Adamo. Questo maestro Adamo fu monetieri, et a petizione de’ conti da Romena di Casentino falsificò lo fiorino, battendo in Romena segretamente fiorini di xxi carato, ove li altri buoni1 sono di 24; onde poi venendo a Firenze e saputo questo, fu arso; e però Dante finge che sia nell’inferno a sì fatta pena, per lo disordinato appetito2 ch’ebbe dell’avere, che s’indusse a falsificare la moneta. Io ebbi vivo assai di quel ch’io volli; questo dice, per mostrare ch’elli fu abondante nel mondo sì, che allora gli era maggior pena avere il disagio, Et ora, lasso; cioè affannato dalla infermità e dalla pena! un gocciol d’acqua bramo; questo dice, perchè desiderava di bere come fanno li idropici, e non avea onde. Li ruscelletti, che di verdi colli Del Casentin: questo Casentino è una contrada in su quel di Firenze, nell’alpe che caggiono tra Bologna e Firenze, discendon giuso in Arno; quelli rivi, che caggiono dal Casentino, tutti entrano in Arno, Facendo i lor canali freddi e molli; questo dice, perchè li fossati et altri luoghi cavati, onde corrono li rivi, stanno freddi e molli per l’acque fredde che vi corrono, Sempre mi stanno inanzi; quasi dica: Sempre mi sono nel pensiere sì, che me li pare tuttavia vedere, e non indarno; questo dice, perchè sì fatto pensiere li accrescea la pena, e però dice: Che l’imagine lor; cioè la memoria ch’io n’ò, vie

  1. C. M. li altri buoni, et iusti erano d’oro, di ventiquattro carati; e falsificato sì il cunio che parevano buoni; unde
  2. C. M. disordina cupidità