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376 INFERNO. — Canto XXIII. Verso 16 a 18

Se l’ira sovra il mar voler s’aggueffa,
     Ei ne verranno dietro più crudeli,
     Che cane a quella lievre ch’egli acceffa.




contemplando con Dio, e può essere forse che non hanno usanza di comunicare, di parlare insieme.

V. 4. Qui introduce una favola che pone Isopo ad esemplo della battaglia, overo rissa che fu tra Alichino e Calcabrina, e dice ch’ell’era quella favola volta in su; quasi a dire: quella carta del libro de Isopo era volta sopra che si potea leggere.

Pone Isopo che uno topo, overo sorigo, andava in uno suo viaggio; quando elli fue ad una parte della sua via, elli trovò uno fossato largo e profondo pieno d’acqua, sovra lo quale non era alcuno ponte: stava costui sovra la riva pur pensando lo modo ch’elli avea a tenere per passare oltre. E stando cosi una rana di quelle del fossato veggendo costui stare cosi pensoso, li disse, io credo che tu vogli passare questa acqua, e però ti faccio assapere che io so molto bene nòtare; se tu vuoi io te passerò oltre per farti servigio; ed in suo cuore dicea: se costui è così matto ch’elli mi creda, io l’annegherò in questa acqua e poi lo mangerò, ed avronne buono pascolo.

Lo topo udendo tale profferta disse: oh, che modo terrai tu ch’io non mi parta da te? Tu sai ch’io non sono uso di stare in acqua, sì ch’io non so li soccorrimenti che fanno bisogno alli accidenti che possono venire, s’io ti cadessi d’adosso io potrei annegare. La rana rispuose: lo modo che noi terremo sarà questo; io mi legherò un filo al piè da l’un capo, tu ti legherai al tuo piede dall’altro capo, poi tu mi monterai addosso, ed io ti porterò oltra; e se per accidente sopravenisse che tu mi cascassi d’adosso, lo filo non ti lasciarebbe partire.

Pensò lo topo in suo cuore: costei dice bene, ma io farò ch’ella ne portarà gran pena, che come sarò oltre della riva, io non aspettarò ch’ella disleghi lo filo, e sì la trarrò in terra sì ch’ella morrà, perch’ella non può vivere se non in acqua, e sì la mangiarò.

Ragionando costoro insieme lo palese, e propostisi lo segreto in cuore, fu trovato uno filo, e ligonsi insieme: lo topo montò adosso alla rana, e la rana nuotando infino al mezzo del fossato, com’ella fu lìe sì si sommerse; lo topo incomincia a gridare e prontava d’andare a terra, la rana pur prontava nel mezzo dell’acqua, sichè tirando l’uno in qua l’altro in là, le posse erano così eguali, che l’uno non potea nè avanzare nè essere avanzato dall’altro.

Uno nibbio, overo piò, volava per l’aire, vide nell’acqua questo movimento, calossi e portolli via ambedue e fenne per questa fiata suo pascolo.

Or dice l’autore esemplificando che, sicome la intenzione e poi l’affetto della rana e del topo era tutta a danneggiare l’uno l’altro, tutto simile era l’affezione de’ predetti due demonii quando volò l’uno dietro all’altro por la partita del Navarese.