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INFERNO. — Canto XXII. Verso 122 a 123 399

     Perch’ei rispose: I’piovvi di Toscana,
     Poco tempo è, in questa gola fera.




una sua brigata e con anche altra gente non di sua condizione circa XVIII ch’aveano cenato insieme, disseno di volere andare a mattinare a certe sue intendenze, e trovossi essere in questa brigata ser Vanni della Monna, lo più famoso notaio di bontade che avesse Pistoia. Andati costoro a mattinare a una donna del predetto notaio, che stava presso al Vescovado, cantando e sonando la brigata, Vanni Puccio si tolse due de’ predetti compagni secretamente, che l’altra brigata non ne seppe nulla, e furono al Vescovado, ruppeno la regie, poi ruppeno la porta della sacristia, e brevemente la spoglionno si che nulla vi rimase. Tolte queste cose e aduttele alla brigata, palesonno questo fatto, e la brigata ancora mattinava; li altri si smarinno molto. Lo predetto Vanni disse: fatto è, veggiamo via di portare via queste cose. Per ventura lo ditto notaio stava più presso, sichè a casa sua furono portate le cose. La mattina per tempo li calonaci e ministri del Vescovado, veggiendo essere così rubata la loro sacristia, furono alla potestade e notificaronli tale maleficio: la podestà fe’ bandir per la terra, che chi sapesse di questa cosa, incontanente il palesasse sotto grande pena; nulla valse, sichè giurò la podestà di volere a tutto trovare. Facea fare inchiesta alla città d’ogni persona che fosse di mala fama, quelli facea tormentare; tutti negavano: vero è che alcuni manifestaro altri maleficii per ch’erano giudicati a morte. Sichè questa podestà volendo pure ottenere suo sacramento, investigava sì a minuto, che non passava settimana ch’elli non facesse morir da XX in suso: durò questa pestilenzia ben sei mesi.

Or infine venne tra li altri all’orecchie della podestà che Rampino figliuolo di messer Francesco de’ Foresi, gentile di Pistoia, era un giovane di mala condizione, sichè di presente lo fece prendere e metterlo alla corda. Costui non manifestava sicome persona che non n’avea colpa. Alla podestà era pur secretamente impulsato, che s’elli lo mettesse alla stretta, ch’elli troverebbe la verità. Lo padre e la madre del ditto giovane andavano facendo le preghiere per la terra a’ gentili e a’ possenti popolari per scampare suo figliuolo, piangendo e facendo croce che ’l suo figliuolo era innocente di quel peccato, e che non perisse senza colpa. La podestade indurata diè sentenza che s’elli non manifestasse la verità del ditto furto infra due die, che ’l terzo dovesse essere appicato per la gola. Udito lo padre tale sentenzia del suo figliuolo, ebbe consiglio con li suoi parenti che era da fare; infine deliberonno che la precedente notte del die, che si dovea fare lo giudizio di questo giovane, fosse in quantità di scope secche messe attorno lo palagio, e messovi entro in tale modo fuoco che elli ardesse la podestà e la sua famiglia, il giovane predetto e tutti li altri prigioni e ancora quelli uffiziali che di notte albergavano nel palagio.