Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/153

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canto

VII. 143

Per non soffrire alla virtù, che vuole Freno a SUO prode, quell’ uom che non nacque, Dannando sè, dannò tutta sua prole; 27 Ondel’ umana spezie inferma giacque Giù per secoli molti in grande errore, Fin che al Verbo di Dio di scender pi3cque 50 U’ la natura, che dal suo Fattore S’era allungata, unio a sè in persona Con I’ atto sol del suo eterno Amore. 55 Or drizza il viso a quel che si ragiona: Questa natura al suo Fattore unita, Qual fu creata, fu sincera e buona: 56 Ma per sè stessa pur fu ella sbandita Di Paradiso, però che si torse Da via di verità e da sua vita. 39 La pena dunque che la Croce porse, Se alla natura assunta si misura, Nulla giammai sì giustamente morse. E così nulla fu di tanta ingiura, Guardando alla Persona che sofferse, In che era contratta tal natura. Però d’un atto uscir cose diverse; Che a Dio e ai Giudei piacque una morte: Per lei tremò la terra e il ciel s’aperse. Non ti dee oramai parer più forte, Quando si dice che giusta vendetta Poscia vengiata fu da giusta corte. Ma io veggo or la tua mente ristretta Di pensiero in pensier dentro ad un nodo, Del qual con gran disio solver si aspetta. Tu (11cl: ben discerno ciò ch’io odo;