Pagina:Commedia - Paradiso (Imola).djvu/565

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canto

XXX1II.

Che il parlar nostro che a tal vista cede, E cede la memoria a tanto oltraggio. S7 Quale è colui che sognando vede, E dopo il sogno la passLone impressa Rimane, e 1’ altro alla mente non riede; 60 CoLai son io, che quasi tutta cessa Mia visione, e ancor mi distilla Nel cor lo dolce che nacque da essa. 63 Così la neve al Soi si disigilla: Così al vento nelle fogii levi Si perdea la sentenza di Sibilla. 66 O somma luce, che tanto ti levi Dai concetti mortali, alla mia mente Ripresta un poco di quel che parevi; 69 E fa la lingua mia tanto possente, Che una favilla sol della tua gloria Possa lasciare alla futura gente; 72 Che per tornare alquanto a mia memoria, E per sonare un poco in questi versi, Più si conceperà di tua vittoria. 75 Io credo, per 1’ acume ch’ io soffersi Del vivo raggio, ch’ io sarei smarrito, Se gli occhi miei da lui fossero avversi: 78 E mi ricorda ch’ io fui più ardito Per questo a sostener tanto, ch’io giunsi L’ aspetto mio col valor infinito. 81 O abbondante grazia, ond’ io presunsi Ficcar lo viso per la luce eterna Tanto, che la veduta vi consunsi! 84 Nel suo profondo vidi, che s’ interna lega1o con amore in un volume