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Pagina:Copernico - Poemetto Astronomico.djvu/28

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(XXVII.)


Azzuri aurati, e di cristal molato
Matematici arnesi, a Lui d’intorno
Stan riverenti, e seguon l’orme illustri.
565Questi incontro mi vien con fronte amica;
O Vicentin, dicendo, Alunno, e cura
D’Urania bella, che quassù ti manda
Perch’io del Ciel t’insegni, e de le stelle
Il moto, il corso, e i non intesi effetti,
570Farò quanto a Lei piace: a questa Dea
Debb’io la gloria del mio nome, debbo
Questo Regno di luce, u’ immortal vivo.
Copernico son io, che il bel sistema
Rinnovai di Pitagora, e di Plato;
575E questo loco, ove Noi siamo, è il Sole.
Quì d’un Vortice è il centro, intorno a cui
Con focosi Cavai girano ognora
I Pianeti, ed a me fu data in sorte
Questa immobile sfera e luminosa,
580Perchè co i studj miei stabile e ferma
Provai ch’ell’era, e quì beato or godo,
Mirando intorno a me volocemente
Gl’Astri rotar con faci, e razzi ardenti;
Come di Bacco in le notturne Feste
585Su le rive d’Eurota e dell’Asopo


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