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cui non si concluda, che il fondamento dell’epoca sunnominata consiste propriamente nella relazione dell’Angelita. Dunque io ripudiando quell’epoca, ho controdetto l’assertiva di un Uomo solo; e se l’errore di un uomo non si dovesse combattere quando è ripetuto da molti, non si dovrebbero impugnare neppure Lutero e Maometto.

40. Prosiegue a dire il Sig. Cavaliere, che Egli non vuol ripetere a sazietà «le forti e luminose ragioni, onde un Ecclesiastico illustre ha dissipato i prestigj delle opinioni private». Tuttavia se non voleva ripetere quelle ragioni a sazietà, poteva almeno produrne alcuna, e poteva accennare con qualche specialità, quelle opinioni ingannevoli e prestigiose, per le quali intende di condannarmi. Altrimenti dicendo solo Leopardi ha torto e Riccardi ha ragione, è un modo troppo sbrigativo di giudicare fra due opere di rilevante importanza; e nell’istesso modo io posso dire, che il Sig. Cavaliere Ricci parlandone con tanta disinvoltura, non ha letto né l’una né l’altra.

41. Finalmente il Sig. Cavaliere pronunzia che «il rimuovere le epoche ricevute nella comun tradizione, è l’istesso che muover dubbio sulla cosa» e corrobora la sua sentenza con un aforismo di Senofonte. Questo però sarebbe applicabile al nostro incauto Angelita, il quale trovò negli scritti e nelle tradizioni comuni le persuasioni di una antichità remotissima, e volle sostituirvi la sua epoca immaginaria del 1294. Difatti da quella sua sconsiderata sostituzione, presero piede tutte le contradizioni intorno alla autenticità e identità del Santuario Lauretano. La sentenza poi del Sig. Cavaliere è troppo generale, e per questo non prova niente: imperciocché se i tempi e le epoche correnti nelle tradizioni volgari, appariscono evidentemente in contrasto con la serie dei fatti e coi computi cronologici, vi è precisa necessità di rettificarle e corregerle; altrimenti dall’errore dei tempi sorge appunto la incredibilità delle cose. Se questi errori dovessero considerarsi intangibili si avrebbero da abbandonare gli studii cronologici e critici, e sarebbero da condannare il Petavio, il Baronio, il Riccioli,