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capitolo secondo | 169 |
di cerimonia, gli uni si impiastravano il volto di nero, gli altri lo tingevano di rosso; questi tiravano linee sulla fronte, quelli coloravano il giro degli occhi. Questi capricci di toeletta e di pretensione avevano colpito di stupore il giovane Fernando Colombo, il quale scriveva trent’anni dopo: «credono di essere perfettamente belli in questi differenti stati, e invece sono spaventevoli come diavoli1.»
Avanzando verso l’est, videro tribù in cui gli uomini, affatto ignudi, si cibavano di pesci crudi e di carne. La loro bruttezza, e la ferocia del loro sguardo appalesavano quella dei loro costumi: il vecchio Giumbé gli additò per antropofagi: scontrarono più all’est una popolazione notevole per la larghezza e la divisione delle orecchie. Uomini e donne esageravano questo genere di bruttezza, traforandosi gli orecchi con un buco tanto largo da farvi passare un uovo: empievano quel vuoto con un osso od un sasso liscio. Questa singolarità fece chiamar il sito la Costa dell’Orecchia.
Ma siffatte osservazioni erano accidentali e brevi, perchè le molestie del mal tempo non avevano mai dato tregua.
Il mare sempre contrario costringeva a continue fatiche, e il cielo pareva aumentar semprepiù i suoi rigori. De’ marinai la maggior parte era malata o cagionevole. L’asprezza de’ venti, la violenza de’ flutti, e non veder mai sole scoraggiavano gli spiriti più fermi. Le pioggie dirotte avevano fatto marcir le vele. Si erano perdute alcune ancore, alcune scialuppe e la maggior parte delle provvigioni. In ogni caravella stavano aperte vie d’acqua; ed era tale la gravità della situazione, che ad ogni sorvenire di tempesta, tutti si tenevano perduti. L’equipaggio della Biscaglina si era preparato alla morte e aveva ricevuto dal padre Alessandro gli ultimi sacramenti. Nelle altre navi i marinai, privi dei soccorsi della Chiesa, vedendosi all’estremità, imploravano il perdono delle loro
- ↑ Fernando Colombo, la vita di Cristoforo Colombo, e la scoperta da lui fatta nelle Indie occidentali, volgarmente detta il Nuovo Mondo. Traduzione in francese dal provenzale Cotolendy, t. II, cap. xxviii., presso Claudio Barbin, 1681.