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capitolo quinto 237

tamente le proprie cose, e otterrebbe un posto nei canotti. La fazione di Porras ammontava a quarant’otto uomini. Non rimanevano all’Ammiraglio che gli ufficiali più fidati, i suoi servi e i malati che si abbandonavano alla disperazione, credendosi abbandonati.

Udendo la loro desolazione, l’Ammiraglio si fece portare all’ infermeria per consolarli, rianimare il loro coraggio, parlare ad essi di Dio, il quale prova i suoi fidi colle tribolazioni, indurli a mettere in lui la loro fiducia e prometter loro che in breve recherebbe rimedio al loro stato; e pigliò provvedimenti onde a quegli sciagurati non venissero meno le cure di cui bisognavano.

Sostenuto dal braccio de’ suoi servi, ogni giorno Colombo giungeva alla baracca che si era tramutata in ospedale, e stava coi malati per informarsi del loro stato, averne cura, distrarli, consolarli ciascuno in particolare. Affine di stimolar lo zelo del medico e degli infermieri, si occupava dei rimedi, delle pozioni, dei medicamenti, e colle sue proprie mani, dolorose per la gotta, medicava i malati1. L’assiduità delle sue cure fu benedetta da Dio, che invocava continuamente in favore di que’ tapini2. Non solamente non morì alcun di loro, ma in breve non se ne trovava più uno all’infermeria3. Questa maravigliosa guarigione, l’assiduità dell’Ammiraglio, e la sua vigilanza rispetto il servizio medico, irritarono profondamente maestro Bernal, l’antico farmacista di Valenza4. Da quel punto, esisteva per Colombo sulle caravelle un pericolo di gran lunga più grave dell’arroganza de’ fratelli Porras e dell’odio ardente della fazione di Siviglia.

  1. Herrera. Storia generale dei viaggi e conquiste dei Castigliani nelle Indie occidentali. Decade 1, lib. VI, cap. v.
  2. Conforme al consiglio dell‘Ecclesiastico ai medici. — — Eccli. cap. xxxviii, vers. 14.
  3. Fernando Colombo, Vita dell’Ammiraglio, cap. cii.
  4. Poco dopo, su maestro Bernal cadde forte sospetto che avesse coi suoi rimedi, uccisi duo uomini, che non gli andavano a genio. — Cristoforo Colombo, Lettera a don Diego Colombo, datata da Siviglia il 29 dicembre 1504.