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290 | libro quarto |
ricevette la visita di Americo Vespucci, il quale, chiamato dal Re per affari di mare, veniva a prendere le sue commissioni, vale a dire, sotto pretesto di essergli gradevole, dimandargli qualche lettera d’introduzione. Come è noto, Americo Vespucci, primo fattorino del suo compatriota fiorentino Juanoto Berardi, si era disgustato del commercio, e dato allo studio della cosmografia a misura che le conversazioni dell’Ammiraglio aveano desto in lui un nobile desiderio di conoscere. Egli aveva fatto, con Alonzo di Ojeda e col piloto Juan de la Cosa, un viaggio alla terraferma coll’aiuto delle carte dell’Ammiraglio, delle quali l’ordinatore generale della marina, vescovo Fonseca, aveva loro a tradimento dato copia. E nondimeno l’Ammiraglio non fa caso di tal sua partecipazione più o meno indiretta a questa fellonia: sa che ha viaggiato, osservato, patito senza profitto pecuniario; e siccome in tutte le sue relazioni anteriori con lui Vespucci era stato onestissimo, Colombo, non guardando per minuto, lo giudicava «un uom molto dabbene1,» accettava le sue offerte di servizio, e lo indirizzava a suo figlio don Diego.
Cinque giorni dopo l’Ammiraglio scriveva ancora a suo figlio per raccomandargli che procurasse di ottener la grazia di due uomini sottoposti a processo criminale, e di porre la loro supplica fra quelle che dovevano essere messe sotto gli occhi del Re nella settimana santa2, tempo delle grazie reali. Questa lettera è l’ultima che ci sia giunta fra quelle che l’Ammiraglio indirizzò da Siviglia a suo figlio; la sola che non sia scritta interamente di sua mano.
Sul cominciar del gennaio 1505, riconoscendo l’Ammiraglio che il mal volere della corte gli dava poca Speranza di ottenere giustizia, e pensando che forse la sua persona era la sola che formasse ostacolo all’adempimento de’ suoi desiderii, imaginò di presentar finalmente e, far gradire al Re il Suo primogenito