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434 libro quarto


Il figlio di Cristoforo Colombo aveva imparato dal padre l’uso del tempo; ne sapeva il pregio: la sua vita era quella di un uomo che non vuole essere sorpreso dall’eternita, e appresentarlesi colle mani vuote. Mentre si abbandonava a questo generoso amore della scienza per devozione a Cristo, sentì che gli cominciava a venir meno la gagliardia del corpo; e previde la gravità del male, senza darsi alcun pensiero delle sue funeste conseguenze. Quantunque non avesse compiuto il cinquantesimoprimo anno, e conservasse nel suo esteriore una vigoria proporzionata alla sua alta statura, pure gli era sovraggiunta la vecchiezza, essendogli la età matura cominciata quando gli altri son giovani. Chiunque muta la legge del tempo, patisce le pene della sua infrazione alla regola eterna: l’immunità dell’eccezione non appartiene che alla Provvidenza. Don Fernando aveva scambiata l’adolescenza nella virilità. A cominciare dal tredicesimo anno, i suoi viaggi, le sue fatiche, le sue veglie, il suo osservare continuo, l’applicazione prolungata di tutte le sue facoltà ad un tempo, avevangli logori gli organi del pensiero: tutto ad un tratto, nella tranquillità delle sue pacifiche occupazioni, sentissi percosso alle sorgenti della vita; e, con quel coraggio medesimo di cui aveva fatto prova ancor fanciullo, subito conosciuto il pericolo, ringraziò il Signore di aver degnato avvertirnelo.

Cinquanta giorni prima della sua ultima ora, seppe che doveva morire, e perciò avvertì i compagni della sua solitudine cristiana, che gli rimaneva breve tempo di dimorare con loro1. Egli rianimava il loro coraggio, li preparava a quell’avvenimento, li consolava, sclamava col salmista: «Lætatus sum in his quæ dicta sunt mihi: in domo Domini ibimus!» Indi fece esattamente l’inventario di tutto quello che possedeva, e profittò del breve tempo, che la morte gli concedeva, per pagar pic-

  1. “Cincuenta dias antes que muriese supo que habia de morir con su grande saber y llamó á sus criados, y le dijo que poco habia de estar con ellos en este mundo.” — Carta de Sevilla escrita per Julio de 1539 á D. Luiz Colon, Almirante de las Indias. — — Coleccion de documentos ineditos para la historia de España, tomo XVI, p. 420.