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capitolo terzo 121


Primieramente bisognava mettere in onore la scienza, lo che non era facil cosa. La nobiltà aveva in dispregio i libri, ed a vile l’insegnamento, non giudicando degni di sè che le armi. La vivacità del sangue, e i pregiudizi di casta mal si accordavano colla calma e l’assiduità degli studi. Affine di vincer gli animi coll’esempio, la regina si applicò al latino, e ricolmò di favori dona Beatrice Galindez che glielo insegnava: ella vi fece tali progressi che in un anno potè comprendere i sermoni, le tesi, gli ambasciatori, e risponder loro in latino, che allora era la lingua della diplomazia.

Il buon riuscimento della regina accese i begli spiriti della corte. L’ardore dello studio scaldò persino i vecchi,: chi non poteva leggere i classici in originale ne cercò avidamente le traduzioni. Perciò il gran cardinale di Spagna voltò in ispagnuolo l’Eneide, l’Odissea, Valerio Massimo e Sallustio per renderli accessibili al proprio padre, che non sapea di latino.

Diego Lopez di Toledo tradusse i commentari di Cesare; Alonzo di Palencia, le vite di Plutarco; l’arcidiacono di Burgos, Giovenale e Dante; Giorgio di Bustamente, Giustino Floro, Eliodoro; il padre Alberto Aguayo gli scritti di Boezio.

Per incoraggiarli la Regina gradiva gli omaggi dell’erudizione: accettò graziosamente le dedicatorie che le fecero Alonzo di Palencia della sua traduzione di Giuseppe, Antonio Lebrija, de suoi trattati di grammatica latina e spagnuola, Rodrigo di Santailla del suo vocabolario; Alonzo di Cordova delle sue tavole astronomiche. Isabella comandò al dotto Diego di Valera dì scrivere il compendio della storia generale di Spagna. I gentiluomini, anzichè disapprovare il sapere, cominciarono a vergognarsi dell’ignoranza.

Fernando Enriquez, e don Fadriguo di Portogallo seguivano i corsi dell’Università a Salamanca, ov’era visto salir cattedra un cugino del re, don Guttierez di Toledo, figlio del duca di Alba; don Fernandez di Velasco, erede del gran Conestabile di Castiglia, spiegava Ovidio e Plinio a numeroso uditorio.

Gli spiriti men gravi si davano alla poesia. I duchi d’Alba, di Albuquerque, dì Medina Sidonia, i marchesi di Vilena, di Vellez, di Astorga, i conti di Benavente, di Castro, il Visconte