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52 | PLATONE IN ITALIA |
Un ateniese finalmente, il quale si ritrova qui, crede, e fermamente crede, che Pittagora abbia vietato l’uso delle fave per rispetto al popolo ateniese, il quale si serve di questo legume per dare i suoi suffragi. E costui, tra tutti gli altri, non mi sembra il piú stolto1.
Ciò, che io ho potuto saper di piú verisimile, è che questo costume sia antichissimo in Italia, ove anche oggi li sacerdoti di talune divinitá hanno divieto di toccar carne non cotta e di mangiar fave. Queste ultime è vietato finanche nominarle2. Tu sai che i sacerdoti sono in tutte le regioni i piú diligenti custodi degli usi antichissimi: essi li ritengono, quando il rimanente del popolo li abbandona, e cosí diventan misteriosi. Tal veste, che oggi rende venerabile un sacerdote, era forse la veste comune a tutti, quando fu istituito il suo sacerdozio. Chi sa donde mai questo liturgico orror per le fave sará nato? Oggi il popolo lo ammira, perché è per lui incomprensibile: lo venera, perché venera i sacerdoti, che lo ritengono ancora. Venera egualmente Pittagora. — Dunque — eccoti il ragionamento del jiopolo — dunque il filosofo non può aver permesso ciò che al sacerdote è vietato. — Tn questa disputa tu ben vedi che il filosofo è sempre il piú docile ed il piú maneggevole; né sarebbe la prima volta che alla filosofia si attribuissero cose, che la sola superstizione de’ tempi ha inventate.