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XIII - DISCORSO DI CLINIA 67

tore, e poi ti dicono: — Ecco ciò che il tale ha fatto, ed ecco ciò che devi fare ancor tu, se vuoi divenire eguale a lui. — Cosí ini si narra in Atene esservi molti, i quali, volendo imita Platone, riquadrano le spalle e storcono un pocolino il collo, ed affettano aver le vesti, il passo, gli atti, tutto, insomma, di Platone, fuorché la mente.

La mente è tutto, o mio amico. Il vero, il solo fonte dell’eloquenza è la sapienza. Il fine dell’oratore è quello di persuadere e di commovere. Chi non pensa e non sente, potrá esser loquace: se aggiugnerá nuovo studio, potrá anche diventar elegante. Chi glielo vieta? Ma, se la sua mente non avrá idee, se il suo cuore non avrá sentimenti, gli mancherá sempre la materia per esser eloquente.

— Non vi è dunque arte alcuna che insegni ad esser eloquente?1

— No. Un’arte vi è; ma i suoi precetti sono pochi, perché pochi sono in ogni arte i precetti, de’ quali dir si possa certo, infallibile l’effetto.

Dimmi: hai tu mai visto le veritá della matematica aver bisogno di arte retorica? La piú semplice esposizione delle medesime è la sola che sia eloquente: ogni ornamento sará sempre inutile, e spesse volte anche noioso. Ed hai tu mai visto il piú artificioso discorso di un retore produrre nell’animo del lettore o dell’ascoltante tanto profonda, sicura, interna persuasione, quanta ne produce colle sue semplici e nude esposizioni il matematico?

Se l’arte dell’eloquenza è l’arte di persuadere, non vi è altra eloquenza che quella di dire sempre il vero, il solo vero, il nudo vero. Le parole, onde è necessitá di nostra inferma natura di rivestire il jiensiero, saranno tanto piú potenti, quanto piú atte al fine, cioè quanto piú nudo lasoeranno il vero, che è nel pensiero. Elena deve esser bella, e non giá la veste ricca.

  1. Questa disputa agitavasi anche ai tempi di Cicerone, il quale la discute. Ma egli prende, come era naturale, le parti dell’oratoria.