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lxiii - pregiudizi e spirito pubblico de’ romani 131

— dicevan essi — che quei miseri cittadini, i quali hanno appena salvata la vita dal flagello della guerra, sien oggi costretti ad edificar nuove case in un luogo arso, devastato, distrutto, mentre in Veia, terreno fertilissimo, comode case, conquistate da noi medesimi, non aspettano che nuovi abitatori? E giá la plebaglia, mossa sempre dai presenti, benché piccoli, vantaggi, inclinava al parer dei tribuni, e giá fremeva, e Veia udiasi ripetere da mille bocche, quando Camillo, asceso sulla tribuna: — E andate pure — disse: — chi vi ritiene? Andate pur tutti a Veia: io però, io, anche solo, mi rimarrò qui. In Roma son nato, per Roma ho vinto e non per Veia, per Roma ed in Roma morirò. Han forse promesso a Veia gl’iddii immortali l’impero della terra? Son forsi di Roma o di Veia i numi tutelari, e gli augúri, e le cerimonie sante, ed i tempii, ed i sacrifici? Voi andrete, ma gl’iddíi resteranno qui, e con essi la religione, gli augúri e l’imperio; andrete, ma le ossa de’ padri vostri non verranno con voi; andrete, ma, quando sarete divenuti veienti, scordatevi de’ padri vostri, di Giove, di Vesta, di Marte, di Giunone, delle vittorie e dell’impero di Roma: essi non saranno piú vostri. Quando anche tutti l’obbliassero, io, che ho vinta e presa Veia, che ho quasi stipulato con Giunone regina di cangiare sede e preferire i tempii romani agli etrusci, io solo ve lo rammenterò. — I faziosi tacquero, e Camillo fu per la seconda volta il padre della patria. —

Il romano partí. — Eccoti i romani — disse allora Ponzio: — tutti pensano allo stesso modo. Quando ne hai conosciuto uno li conosci tutti.

— Ma non parmi poi — risposi io — che sien molto ragionevoli: li trovo tutti pieni di pregiudizi, di visioni; mi sembrati piú che superstiziosi. —

— O giovine — mi rispose Ponzio, — un pregiudizio forma un matto, e dieci posson formare un eroe. È necessitá aver tutti i pregiudizi de’ romani per poter fare ciò ch’essi fanno. Persuadete loro che Quirino non è figlio di Marte, che Giove non promette nulla ai mortali; dimostrate che gli augúri ed i sagrifici son nomi senza soggetto, che il cenere de’ padri non