Pagina:Cuoco, Vincenzo – Scritti vari – Periodo milanese, 1924 – BEIC 1795489.djvu/237

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l’autore. — E vi è stato un tempo che io metteva in ciò tanta diligenza (siccome avvien sempre ne’ primi anni della gioventú, che il desio di apprendere è maggiore, e minore il numero delle distrazioni); vi è stato un tempo, dico, che, non contento di far un tale esame tra me e me, io lo scriveva, onde le idee diventassero piú precise e piú ampie; e, dopo che avea scritta tutta intera la conseguenza delle mie osservazioni, io procurava di confermar a posteriori ciò che aveva ragionato a priori , e mi metteva a leggere quante memorie poteva raccogliere sulla vita e sulle vicende dell’autor del libro giudicato, e talora spingeva la curiositá fino al punto di volerne veder qualche ritratto ed esaminarlo attentamente, onde giudicare se mai eravi qualche somiglianza tra quelle tre parti che compongono l’uomo e che dir si potrebbero tre fisionomie: la fisionomia del corpo, quella della mente e quella delle azioni. A me pareva che la natura non avesse potuto formar discordi tra loro queste tre parti di un essere in cui unico era il principio della vita. Ed il maggior numero delle volte l’esperienza ha confermata la mia massima.

Forse, se avrò tempo e volontá, pubblicherò un giorno queste mie osservazioni. Per ora a me basta osservare che gli antichi si mostrano piú apertamente de’ moderni. Tra questi meritan distinzione Montaigne, Macchiavelli e pochi altri, i quali perciò io metto nel primo posto. Il maggior numero pare che si travagli per impedire la soluzione del problema, ed o non mostra alcun carattere, o ne prende uno falso, il quale, quanto è piú falso, tanto piú diventa affettato.

Quindi è che gli scrittori antichi hanno piú naturalezza de’ moderni e piú forza di persuasione, perché la naturalezza porta con sé la veritá, e la sola veritá può persuadere e piacere.

Quindi è che gli antichi avean della vera eloquenza un’idea tanto diversa da quella che ne abbiam noi. Per essi i precetti dell’eloquenza eran precetti di morale e di politica. Prova ne sia Aristotele, che i suoi libri rettorici compose quasi appendice ai libri che avea scritti sulle virtú dell’uomo e sul governo delle cittá.