Pagina:D'Annunzio - Canti della guerra latina, 1939.djvu/55

Da Wikisource.

17. e quelli tumulati sul Salubio, al limite del bosco, nel prato eguale ove fiorisce il colchico violetto come l’asfodelo, tra le baite esanimi;

18. e quelli fitti sotto l’Armentera travagliato di bolge qual monte di castighi, o stronchi sotto le rocche dei Titani, schiantati sotto le Pale rosseggianti, sotto i mastii di Lavaredo opachi, ai piedi delle Tofane crudeli, nelle ambagi di ghiaccio e di macigno,

19. essi gli assalitori senza grido, con le funi e coi ganci, coi raffii e coi ramponi, coi lor calzari taciti di corda, coi lor pugni più duri che manopole di piastra, coi lor cuori d’invitto diamante che brilla per gli squarci dei costati.

20. Chiama e numera. Quelli che gittarono incontro alle trincee fetide e cupe l’inno di giovinezza come fascio di raggi e caddero col canto puro nella gola aperta, sepolti nei tesori della neve, quelli udranno e verranno.

21. Chiama. Quelli che rimasero su la via di Vercoglia, in notte cauta, calzati d’astuzia, accanto ai loro carri cui aveano ben unto i