Pagina:D'Annunzio - Laudi, III.djvu/221

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TERZO - ALCIONE

Pasife con le nude
braccia premette gli òmeri miei nudi,
s’abbandonò su me come su fulcro
insensibile, assorta nel suo sogno
130inumano, perduta nel portento.
Saliva un violento
foco dal suolo ov’eran le radici
della mia forza, e tutto m’avvolgea,
e tutto come arbusto resinoso
135parea vi precipitassi e vi splendessi.
Oh giardino di spessi
aromi, carco di cera e di miele,
carco di gomma e d’ambra,
ove s’udia scoppiar la melagrana
140come un riso che scrosci e quasi mosto
si liquefaccia in una bocca d’oro!
Recava l’Austro il coro
delle femmine ancelle dal palagio
remoto, che sedevano ai telai
145o tingevan di porpora le lane
o i semplici isceglieano al beveraggio
o di carni ammannivan la vivanda
per la figlia del Sole,
ignare ch’ella fosse innanzi al Sole
150preda schiumosa d’Afrodite infanda.„


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