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stessa attitudine, fanno tutti il medesimo gesto lùgubre fino all’orizzonte, col ventre gonfio, con la zampa di dietro rigida in aria.

Per le dolci praterie d’erba medica, ventri enfiati, zampe levate, gengive giallastre, occhi bianchicci, stormi di corvi, turbini di mosche.

E nei villaggi e nei campi, e nelle strade e da per tutto, cavalli uccisi; e l’orrore di quel gesto sempre eguale; e il luccichìo dei ferri in quella selva stecchita, sotto uno sprazzo di sole straziante.


In un campo di barbabietole, dietro uno sfasciume di affusti e di cassoni, scopro un cavallo superstite.

È solo. Non può camminare. Ha un nodello schiantato, e una profonda ferita nella natica, e un’altra al garrese.

Ma è quieto. Ha l’occhio tranquillo. È cessato il fragore. È finito l’inferno. Tutto è silenzio. Gli uccelli