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246 | i marenghi. |
tenendo la bocca atteggiata al dispregio. L’Africana guardava ora le monete, ora la faccia dell’uomo, ansando come una bestia stracca. Si udiva il tintinno del rame, il russare aspro di Binchi-Banche, il saltellare della tortora, in mezzo al continuo rumore della pioggia e del fiume giù per il Bagno e per la Bandiera.
‟Nen m’abbaste,” disse finalmente Passacantando.”Ce vo’ l’autre. Cacce l’autre, se no i’ me ne vajie.”
Egli s’era schiacciato il berretto su la nuca. Il ciuffo rotondo gli copriva la fronte, e sotto il ciuffo li occhi bianchicci, pieni d’impudenza e d’avarizia, guardavano l’Africana intentamente, involgendo quella femmina in una specie di fascinazione malefica.
‟I’ nen tenghe chiù niende. Tu mi siè spujate. Quelle che truove, pijiatele....” balbettava l’Africana, supplichevole, carezzevole, mentre la pappagorgia e le labbra le tremavano, e le lagrime le sgorgavano dalli occhietti porcini.
‟’Mbé,” fece Passacantando, a voce bassa, chinandosi verso di lei. ‟’Mbé, e t’acride che i’ nen sacce che maritete tene li marenghe d’ore?”
‟Oh, Giuvanne.... E coma facce pover’ammè?”
‟Tu, mo, súbbito, vall’a pijà. I’ t’aspett’a qua.