Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/147

Da Wikisource.

seguii per tutto il corso della mia vita, fu creduto sovente figlio di dappocaggine, e colla speranza d’impunitá incoraggi i miei nemici a vie piú offendermi ; ma assai piú sovente quelle vendette, che non ho fatte io medesimo, quella mano le fece, che nell’universo fa tutto, e che, sebbene agli occhi de’ malvagi invisibile, pur di raro lascia trionfare, senza il dovuto castigo, la scelleraggine e la perfidia.

E qui mi cade in acconcio il racconto d’una storiella, che, sebbene non appartenga a quest’epoca della mia vita, nulladimeno, per quel rispetto che devo agli altri e a me stesso, mi credo in obbligo di pubblicarla senza indugiare. Nessuno oserá disputarmi, credo io, il vanto onorato e piacevole d’aver di pianta introdotta la lingua e letteratura italiana nella cittá di New-York. L’anno 1805, quand’io vi arrivai, non uno parlava o scriveva l’italiano, non uno sapeva i pregi e il numero de’nostri sommi scrittori; ed, eccettuando cinque o sci classici, che per fama da tutti si conoscono, degli altri, benché infiniti in ogni genere d’umano sapere, non s’avevano che delle vaghe nozioni acquistate da giornalisti, viaggiatori e critici, per lo piú francesi ed inglesi, i cui giudizi sulla letteratura italiana fanno propriamente pietá. Se v’hanno al di d’oggi in questa cittá piú di dugento spiritosi giovani e giovanette che leggono, scrivono e parlano la nostra lingua con proprietá e con grazia; se, oltre i nostri divini classici, ammirano e gustano le bellezze de’ Parini, de’Cesarotti, degli Alfieri, de’ Monti, de’ Foscolo, per non parlar di cento altri, quanto quelle de’ Dryden, de’ Thomson, de’ Shakespeare e de’ Milton, lo dirò baldanzosamente, è tutto merito mio. Se avessi intesa bene la gloria, che doveva trarne da questo felice successo, non avrei mai lasciate le lettere pel commercio, né New-York per Sunbury, dove vissi sett’anni una vita misera, e di dove dir posso che la mano della provvidenza mi trasse per ricondurmi alla pace. Io benedico e benedirò sempre il momento del mio ritorno a New-York. La lontananza di sett’anni non iscemò una dramma di quella bontá, di quel favore e di quella benevolenza, onde m’onorarono e tuttavia m’onorano i miei generosissimi