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Pagina:Da Ponte, Lorenzo – Memorie, Vol. II, 1918 – BEIC 1797684.djvu/32

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era diventato compratore. I fíttaiuoli mi portavano i prodotti delle lor terre, ed io, dava loro roba o danaro, secondo i loro bisogni. Un’infinitá di avventori concorreva al mio negozio; ed io non era obbligato di vender a credito, come pria, ad oggetto di vender molto. Vedendo i miei magazzini ripieni e la bottega quasi vuota, feci l’acquisto d’un carro e di due cavalli, presi al servigio mio un carrettiere, che si tenea per sobrio ed onesto, spedii a Filadelfia, fuori che il grano da stillarsi, tutte le produzioni rurali, e ne ritraeva quelle della cittá, e, parendomi prosperar prodigiosamente nell’intrapresa, mi credei in istato di fabbricar una casa. In otto mesi la casa era fabbricata, ed io mi gloriava d’aver eretto il piú bell’edificio di tutto il borgo. Ma io non sapeva allora che vari tarli d’iniquitá ne rodeano le fondamenta. Io andava spessissimo a Filadelfia per vendere e comperare, e lasciava intanto gli affari nelle mani del mio serafico yankee. Soleva costui visitar certa feminaccia, che aveva una figlia maritata con un lavoratore dipendente da Tommasone. Andava, diceva egli, da queste donne, ora per leggere con esse qualche capitolo della santa Bibbia, ora per farsi dar due punti ad una calzetta, ed ora per fuggir l’occasioni di pericolose compagnie. Queste donne, dall’altro canto, eran nel numero de’ nostri migliori avventori : lavavano e scopavano gratis la bottega, ed ei poteva fidarsene come di se stesso. Vedremo tra poco qual fu la chiusa d’un si bel panegirico!

Verso la fine di novembre dell’anno 1814 entra ex abrupto nella mia stanza e domandami il suo congedo. Non l’udii senza maraviglia; ma non gli chiesi le cause, né gli feci opposizioni. Assestate le cose meco, comperò un bel cavallo, comperò degli arnesi splendidi, e, colla valigia piena di suppellettili (e molti dissero del bianco metallo), caracollando e complimentando, parti. Egli non era stato un anno con me: il mio salario era molto tenue, e, prima di venire al servizio mio, egli era si povero, che non aveva potuto per piú di due mesi pagare l’oste dove viveva, e che fu poi pagato, e forse ripagato, da me medesimo. Tutti questi riflessi non mi passaron per il capo che