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dalla terra alla luna 167

— Evviva Barbicane! soggiunse modestamente l’oratore.

Questo atto di riconoscenza verso il promotore dell’impresa fu accolto da unanimi applausi.

« Ora, amici miei, riprese Michele Ardan, se avete qualche domanda da farmi, metterete al certo in impaccio un pover uomo par mio; tuttavia procurerò di rispondervi. »

Fin qui il presidente del Gun-Club aveva motivo di essere soddisfatto della piega presa dalla discussione. Essa appoggiavasi a quelle teorie speculative nelle quali Michele Ardan, trasportato dalla sua viva immaginazione, mostravasi brillantissimo. Bisognava dunque impedirgli di deviar verso le quistioni pratiche, dalle quali se la sarebbe cavata meno bene al certo. Barbicane si affrettò di pigliare la parola, e domandò al suo nuovo amico, se riteneva che la Luna o i pianeti fossero abitati.

« Quello che tu mi poni innanzi è un grande problema, mio degno presidente, rispose l’oratore sorridendo; però se non m’inganno, uomini di grande intelligenza, Plutarco, Swedenburg, Bernardino di Saint-Pierre e molti altri si sono pronunciati per l’affermativa. Se pigliassi le cose dal punto di vista della filosofia naturale, sarei incline a pensare a loro modo: direi fra me che nulla d’inutile v’è a questo mondo, e rispondendo alla domanda con un’altra domanda, caro Barbicane, affermerei che se i mondi sono abitabili, o sono abitati, o lo sono stati, o lo saranno.

— Benissimo, esclamarono le prime file degli spettatori, la cui opinione aveva forza di legge per le ultime.