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40 | giulio verne |
I primi popoli professarono un culto particolare alla casta dea. Gli egiziani la chiamavano Iside, i Fenicî Astarte, i Greci l’adorarono sotto il nome di Febe, figlia di Latona e di Giove, e spiegavano i suoi eclissi colle visite misteriose di Diana al bell’Endimione. Se vuolsi prestar fede alla leggenda mitologica, il leone di Nemea percorse le campagne della Luna prima della sua apparizione sulla Terra, ed il poeta Ayesianax, citato da Plutarco, celebrò ne’ suoi versi i dolci occhi, il naso vezzosino e la bocca gentile, formati dalle parti luminose dell’adorabile Selene.
Ma se gli antichi compresero bene il carattere, il temperamento, in una parola le qualità morali della Luna dal punto di vista mitologico, i più dotti fra essi rimasero ignorantissimi in selenografia.
Nulladimeno, alcuni astronomi de’ tempi remoti scoprirono certe particolarità, confermate oggi dalla scienza. Se gli Arcadi pretesero di aver abitato la Terra in un’epoca in cui la Luna non esisteva ancora, se Semplicio la credette immobile ed assicurata alla vôlta di cristallo, se Tazio la considerò come un frammento staccato dal disco solare, se Cleareo, discepolo d’Aristotile, ne fece uno specchio terso nel quale riflettevansi le immagini dell’Oceano, se altri infine non videro in essa che un ammasso di vapori esalati dalla Terra, od un globo metà fuoco e metà ghiaccio, che girava sopra sè stesso, alcuni sapienti, in virtù di sagaci osservazioni, in mancanza d’istrumenti d’ottica, presentirono la maggior parte delle leggi che reggono l’astro delle notti.