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gli fosse stata fatta di quelle secrete carte originali, ma
secondo la fama che n’era corsa alquanti anni prima. Era
cosa naturale che gli assassinii del Molteno, dello Speziale,
del Fabbro, della Caterina, rannodandosi colla fuga delle
due monache, coll’imprigionamento della Signora, colla duplice inquisizione stata contemporaneamente aperta, una
palese per opera del braccio secolare (chiusa da sentenza capitale, portante atterramento della casa del reo, ed erezione
d’una colonna infame), l’altra segreta, trattata dinanzi al tribunal ecclesiastico (mercè cui delle cinque inquisite perdessi
la traccia, ad eccezion della più famosa, intorno alla qual si
diffuse voce ch’era diventata santa); era cosa naturale, dico,
che il rumore dl cotali tragiche e toccanti avventure si fosse
ovunque diffuso, ed avesse prestato al diligente e pio Storico milanese materia sovrammodo acconcia a dettar pagine
tra le migliori del suo nobile lavoro: e veramente il frammento testè citato porgesi singolarissimo per la forza dello
stile, l’altezza delle idee, la vivacità delle immagini, la regolarità e chiarezza dello svolgimento; vi spira da capo a
fondo un sentire cristiano, anco poetico, qualche cosa
d’austero e pietoso, quello ad imprecare i delitti, questo ad
esaltare le misericordie: la Signora e il Cardinale sonvi
delineati alla Vandick; la fuga notturna delle due monache,
e gli assassinii sovr’esse commessi spirano vivezza ariostesca; la morte misteriosa del traditore chiude in guisa rispondente ad una quasi aristotelica unità d’intreccio, progression di terrore, e moralità finale, la complicata tragedia; oltrecchè reputo degno d’annotazione che una penna
lombarda in pieno Seicento sia riuscita a serbarsi netta da
gonfiezza, e mal gusto, trovate le vie del cuore con note
di grave e forte eloquenza.
Ma Ripamonti, appunto perché nella compilazione di questa narrativa non potè consultare altr’autorità fuorché la voce pubblica, ned attingere ad altra fonte che a romori popolari, dovette di necessità inserirvi inesattezze, passare