Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
dante e firdusi | 201 |
masti fedeli al loro signore. Così solennemente, tranquillamente, maestosamente, come il tramontar d’un bel sole, discende al suo fine il magnifico racconto della gran guerra, ora che i campioni d’ambe le parti ne sono morti, e il maggiore di essi, in premio di sue virtù, è salito al cielo.
Anche Rustem morrà. La sua vita è pur stata travagliosa, tutta data al servizio del paese e de’ suoi re, ed egli stesso lo dice in questo canto che il poeta gli pone sulle labbra in una delle sue tante avventure:
Rustem flagello è de’ nemici suoi, Ma parte alcuna di serena gioia |
Eppure egli, vincitor di tanti nemici e di tanti pericoli, cadrà vittima del tradimento d’un suo minor fratello, Sheghâd, dell’uom lercio e sciancato, invidioso della gloria di lui. Ogni eroe grande è anche d’anima semplice e infantile; e ogni inetto e vile, pur che sappia adoperar l’arte dell’inganno, agevolmente lo trae ad irreparabile rovina. Così Sigfrido cade vittima di Hagen; Otello, di Jago; Rustem, di Sheghâd. Il quale, tratto il fratello, sotto pretesto di caccia, in un luogo selvaggio per dov’egli aveva scavato certe fosse profonde armate di lame taglienti e incurve, attende che in una di esse egli precipiti col suo fedel destriero. Ride il malvagio che sta osservando appiattato dietro ad un albero; ma l’eroe piagato tanto può ancora da trafiggerlo a morte con un ultimo dardo rimastogli, e spira poco stante domandando perdono a Dio. Piangono là intorno i circostanti; e la dolente avventura, in cui Firdusi, descrivendo e narrando, s’è mostrato maestro, ricorda un’altra molto somigliante d’un poema occidentale. Anche nei Nibelunghi, l’ignoto poeta germanico ci descrive con molta commozione nostra la tragica morte di Sigfrido, procurata dal cognato traditore, là