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Un ispettore ameno 177

e lodava l’aspetto degli abitanti, la purezza dell’aria, la salubrità delle acque.

Tutti insieme attraversarono il villaggio e si diressero verso la scuola della maestra Falbrizio. La gran lite stava per esser risolta.

Entrarono l’un dopo l’altro, in silenzio, come una pattuglia di poliziotti in una casa sospetta. E per prima cosa l’ispettore alzò gli occhi al soffitto, che quasi si poteva toccar con la mano. Poi diede uno sguardo alle pareti nere di fumo.

Il sindaco disse subito: — Ho dato già l’ordine d’imbiancare.

L’ispettore accennò un vetro che mancava.

— Sarà provveduto — s’affrettò a dire il sindaco.

E vedendo che quegli toccava col piede una lastra smossa del pavimento, soggiunse pronto: — Non capisco.... dovevano venir ieri ad accomodare.

Sopra trenta iscritte non c’erano in iscuola che sette bambine, tutte schierate nei primi due banchi. L’ispettore chiese conto delle assenti. Poi domandò alla maestra se era stata malata. Era stata malata una settimana, infatti; non s’era levata da letto che il giorno prima; e perciò l’ispettore avrebbe dovuto compatirla se trovava le bambine un po’ addietro. Mentre essa parlava, il sindaco guardava per aria.

In quel momento entrarono due consiglieri, che il sindaco aveva mandati a chiamare per render più solenne il giudizio; uno dei quali era il liquorista assessore, che si vantava di rassomigliare a Vittorio Emanuele. Tutta la compagnia, per non far confusione, si schierò di fronte ai banchi. Erano otto omenoni che contavan fra tutti quattrocent’anni, piantati in atto di giudici davanti a sette bambine alte un palmo; con le quali formavano un quadro che si sarebbe potuto intitolare benissimo: L’infanzia oppressa dall’istruzione pubblica. Una sola bimba, la più piccola, una bella batúffola coi capelli rossi, squadrava tutti quei personaggi con un visetto corbellatorio, che era un amore. Tutte le altre tremavano.

L’ispettore fece alcune domande alla maestra, la quale gli rispose in italiano, con molta cautela, spiccicando le parole lentamente, e adocchiando il sindaco

Il romanzo d’un maestro. — I. 12