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In un’isola 7

età, che per una parola si mettevan le mani agli occhi e s’addentavano come piccole belve, in un canto, senza far rumore, e quella che rimaneva malconcia, non rifiatava. — Ecco delle creature viventi! — concluse. — E tu che gente hai trovato a Altarana?

Ma nemmeno questa volta lo lasciò rispondere, e tirò innanzi. Ah! i piemontesi, fiori d’inverno! Non ce n’era neanche l’idea fra di loro della espansione affettuosa ch’essa aveva trovato laggiù.... Ed era stata fortunata in tutto. S’era fatta un’amica, fra le altre, una suora francese, sotto maestra, che insegnava il francese alle esterne, una creatura unica al mondo, un angelo.... che aveva l’idea fissa d’andar con le missioni in China a riscattare i bambini per la Santa Infanzia, ed era così accesa in quell’idea, che quando ne parlava, le pigliava un tremito e mutava viso, e ne parlava perfino in sogno, chiamando quei bambini ad alta voce, come se li vedesse. Era stata sui campi di battaglia nella guerra del settanta, aveva soccorso dei moribondi, di cui ripeteva le ultime parole, aveva visto amputazioni e agonie orrende, e udito poi continuamente, per delle giornate intere, le grida dei soldati che le eran morti fra le mani, come se l’eco gliele ripetesse da tutte le parti; e con tutto questo, aveva conservato tanta delicatezza di sentimento che per una sbucciatura che si facesse una bimba ad un dito accorreva col cuore in affanno, e di qualunque dolore, anche di gente sconosciuta, soffriva, come se ella stessa ne fosse stata la causa, senza volere. Oh la divina creatura! Tutto quello che le usciva dalla bocca pareva una preghiera. Si sentiva il soffio d’un’altra vita, a udir la sua voce.

Il maestro la guardò: era commossa; non pareva più quella di poc’anzi. — Sei stata felice, dunque, — le domandò il giovane, — non hai avuto nessun dispiacere? nessun contrasto?

— Nessun contrasto, — rispose, — nessun dispiacere. Son stati due anni di pace immensa. — Tutto era pace, nel convento e di fuori. Perfino quegli uomini dai capelli lunghi, coi calzoni bianchi e le ghette nere, ch’essa vedeva dalla finestra sdraiati per ore ed ore sulla piazza, od occupati a giocare a castelletto con le noci, come bambini, e che desinavano con un