Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/362

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con uno sforzo, e ricominciare: questo era il suo programma. E nell’attuarlo fu fortunato. Non c’era, o non gli parve di riconoscere nella sua scolaresca alcuno ai quei caratteri malvagi con cui l’indulgenza è impossibile, e che rendono difficile d’usarla anche con gli altri. Assuefatti gli uni al maestro andato via, che era freddo e severissimo, gli altri al maestro Reale, bisbetico e violento, rimasero tutti stupiti di quel nuovo modo, e furon tenuti a segno, sul principio, dal loro stesso stupore, come se, presentendo in cuor loro che la cosa non poteva durare, stessero queti nell’aspettazione di qualche gran cambiamento improvviso. Quando a uno che s’aspettava una percossa o l’espulsione, egli s’avvicinava invece lentamente, e mettendogli una mano sulla spalla, prendeva a ragionarlo con gravità e con dolcezza, gli altri si guardavano a vicenda con gli occhi larghi e con un sorriso interrogativo, come per dirsi: — Ma che strano originale è costui? — Questo procedere li sconcertava. In confuso, sotto quella mansuetudine, indovinavano una volontà ferma, che avrebbe saputo impedire ogni abuso; e la contrazione dolorosa che appariva sul viso di lui quando qualcuno lo metteva al procinto di mancare ai suoi propositi, appunto perchè non capivano bene che pensieri esprimesse, ne imponeva loro quanto e più d’un atto di collera. Egli, dal canto suo, vibrante ancora della sua nuova idea e contento di non trovare ostacoli, aveva la parola facile e calda, trovava argomenti ed immagini efficaci per commuovere e persuadere, e gli pareva che mai la propria voce non gli si fosse prestata così bene a quell’ufficio. A capo di pochi giorni egli riconobbe dieci o dodici alunni, che nell’attenzione serena che gli prestavano e nella simpatia che gli esprimevano involontariamente con gli occhi e con gli atteggiamenti del capo, mostravano evidenti i buoni effetti della sua maniera. C’era, fra gli altri, il figliuolo della guardia campestre, un viso di monello riboccante di vita, che non poteva star quieto; il quale, ogni volta che il maestro diceva con la sua voce dolce qualche cosa d’affettuoso e di poetico, aveva il vezzo singolare di finger di non badarvi o di guardare in alto con un sorriso forzato, come per far vedere che quelle parole non gli facevano alcuna impressione. Ma il Ratti, che in questo aveva