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La “letterata„ 103

debolezza, discorrendo, di fingere delle distrazioni, come se dimenticasse a un tratto, per un’idea sopravvenutale, l’argomento di cui si parlava. La sua affettazione, in fondo, non era che uno di quegli innocenti artifizi di vanità giovanile, ai quali in città, dove tutti recitano, nessuno bada, e che forse anche a Camina avrebbero perdonato ad un’altra; ma a danno di lei c’era quel disgraziato precedente dell’aver mandato avanti (come credevano) i documenti della sua celebrità; e il sospetto ingigantendo il difetto, la maldicenza canzonatoria del villaggio cominciò subito a far della sua persona il medesimo strazio che aveva fatto della sua prosa.

Da principio essa non s’avvide di nulla. Aveva ventun anni. Era il tipo di quelle maestrine arcadiche, che nonostante tutto ciò che un’esordiente può saper della realtà dai giornali scolastici e dalle colleghe esperte o avvedute, arrivano all’“ameno paesello„ con delle illusioni infantili di trovarvi un gioiello di scuola bianca e ridente, delle bambine ingenue, le cui madri saranno loro amiche, delle autorità rispettose e cortesi, che le aiuteranno a colorire i loro disegni di fondazioni di premi e di biblioteche educative, e una popolazione di buoni campagnuoli, somiglianti a quelli dei libri di lettura, pei quali esse saranno una specie di castellane dell’intelligenza, circondate d’ossequio amoroso. Ora una parte di queste illusioni la povera signorina se le vide strappate subito e brutalmente. La sua scuola si trovava al primo piano d’una casuccia sbilenca, posta in un vicolo che sbucava nei campi; al piano terreno della quale c’era un’osteria.... per fortuna; poichè avendo una volta il municipio fatte delle rimostranze in proposito al proprietario, ch’era un fabro ferraio, questi, imbizzito, aveva risposto che dovevan prendere a pigione la casa intera o lasciarlo in pace, chè altrimenti, invece d’un’osteria, ci avrebbe messo.... di peggio. La maestrina rimase sgomenta al veder quella stanza, dove i muri piovean calcinacci e i primi banchi toccavano il suo tavolino. Si turbò anche di più quando vide le sue trenta scolare, dai nove ai quindici anni, le une coi piedi nudi, le altre con la camicia sudicia, che stavano in scuola col cappello di paglia in capo e si disputavano la penna o il calamaio dandosi i nomi degli animali femmine che