Pagina:De Amicis - Il romanzo d'un maestro, Treves, 1900.djvu/69

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Questione sociale 61

vane, il caso che fanno della sua condizione sociale, gli dicevan troppo chiaramente che esse lo consideravano, non forse tanto al disotto, quanto a una grande distanza da loro. Osservato con una espressione sfuggevole di simpatia quel suo viso lungo e un po’ pallido, rischiarato da due occhi pensierosi, e dolci quando ridevano, esprimenti insieme dignità e gentilezza, pareva che dicessero: — Peccato che non sia che un maestro! — Certi modi familiari, e che pure avevano un’intenzione cortese, come una frase che intese un giorno a una merenda in campagna: — Oh, facciamo un po’ di posto anche al maestro, — gli parevano estremamente indelicati. E soprattutto lo umiliava il contegno ossequioso d’una maestrina di Torino, che una bella e grossa signora, moglie d’un ricco negoziante d’olii, aveva condotta in campagna a far ripetizione ai bambini: egli si sentiva ferito di rimbalzo, quando, senza mostrare il minimo senso della sconvenienza dell’atto, la signora le diceva: — Maestra, mi tenga lo scialle. — Signorina, mi vada a prendere il ventaglio — come a una cameriera. E aveva un bel rimproverarsi di esser di pelle troppo tenera, e accusarsi di pretensioni ridicole, pensando che il suo collega Labaccio della Normale, messo al posto suo, non avrebbe sentito nessuna di quelle umiliazioni, e si sarebbe accomodato piacevolmente a tutti e a ogni cosa, e mostrato così più modesto e più sensato di lui: l’orgoglio offeso gli si risollevava a suo malgrado, imperioso, come la voce stessa della coscienza. Perdio, un maestro era così poca cosa? E, ancora ingenuo, se ne domandava il perchè. Egli trovava una contraddizione assurda fra quel gran dire e scrivere che si faceva da tutti, della nobiltà della professione d’educatore, dell’importanza capitale dell’istruzione primaria, dei diritti disconosciuti e delle sante benemerenze dei maestri verso la società, e la maniera con cui questa società li trattava, a quattr’occhi. Come mai? diceva tra sè. Ci affidano i loro figliuoli, ci dicono: — ingentilite i cuori — preparate una generazione migliore — rifate il mondo.... e poi: — fate un po’ di posto anche al maestro; — maestra, mi vada a prendere il ventaglio. Qui c’è un’ingiustizia e un’ipocrisia.

E tornando a casa da una festa o da una passeg-