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porgendomi la mano, mi traggono a forza alla ribalta del teatro letterario perchè reciti la mia parte? Non dovrò giovare alla terra che custodisce le ceneri della mia Madre dolcissima e che con le tiepide aure del suo Cielo, conserva ancora forte e sano nella vecchiaia il venerato mio Padre?

Come non contribuire, alla prosperità di questa nostra penisola che fu tanto diletta agli spiriti i più puri, ai genii i più grandi, agli uomini i più illustri?

Perchè dopo aver dedicato il giorno alla pittura, non impiegherò la sera, qualche ora della notte per elevare nella tranquillità lo spirito, in cerca di ideali che migliorando me, giovino pure ai miei fratelli?

Ragionava in tal modo, quando un autografo inviatomi da Augusto Conti, così mi commosse che di buona lena mi rimisi al lavoro.

Il mio pensiero però prima corse dai lidi di Genova alle sponde dell’Arno, e là ebbe la benedizione del grande Filosofo.

Augusto Conti, vecchio negli anni, io lo ritrovai a Firenze giovane nello spirito, nella sua fronte vidi fermata la stella del Vero, nei suoi occhi scorsi la dolcezza del Buono, le sue labbra dischiuse a sorriso mi fecero comprendere che Egli avea avuti i baci del Bello.

Iddio lo accarezzava, il male sotto i suoi piedi fremeva.