Pagina:De Amicis - La vita militare.djvu/405

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partenza e ritorno. 397

morti, chi premendosi una mano sur un fianco, chi sul petto, chi traendo alte grida, chi gemendo fioco; e i medici correre affannati di qua e di là, senza sapere dove cominciare, o da chi; e poi esaminare, lavare, tagliare, fasciare, alla lesta, dopo l’uno l’altro, dopo l’uno l’altro, e poi via tutti all’ambulanza, e poi altri gruppi, altre grida, altri lamenti; Dio, che scene! Ho visto un gruppo di soldati intorno a un medico che curava un ferito e ho sentito gridare: ahi! ahi! Mi sono avvicinato, il ferito era già in piedi. — Va all’ambulanza, va — il dottore gli disse. Quegli s’avviò a passo lento e tremante. — È già guarito? domandai. — Guarito? Vivrà ancora qualche ora, — mi rispose il dottore. Ne fui meravigliato. — Scherzi delle palle, — egli soggiunse.

Ho visto dei begli atti di fermezza e di coraggio. Un bersagliere venne a farsi cavare una palla dalla gamba e tornò indietro a raggiungere il suo battaglione sul campo. Un soldato di fanteria, gravemente ferito, portato a braccia da due compagni, pallidissimo, cogli occhi semispenti, teneva tuttavia un mozzicone di sigaro fra i denti e sporgeva il labbro di sotto in atto di noncuranza e di disprezzo. Passò accanto al mio battaglione; molti corsero a guardarlo; egli volse lentamente lo sguardo intorno e, vistosi osservato, per far parere anche meglio la sua freddezza, fece un movimento della bocca come per addentar meglio il sigaro che gli stava per cadere.

.... È morto uno dei miei più buoni e più cari amici, di cui t’ho parlato molte volte, un sottotenente dei granatieri, lombardo, un bellissimo giovine, Edoardo B. Era nella mia compagnia in collegio; tu hai una fotografia in cui ci siamo tutti, cercalo, è il primo a destra, seduto in terra, col sigaro in bocca; me ne ricordo.