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un nuvolo di mosche feroci, che strappavano all’Ussi, a due a tre per volta, tutta la ricchissima litania dei sacrati fiorentini


Novi, arditi, da far testo di lingua.


Scemato un po’ il caldo, la scorta di Had-el-Garbìa, il Console d’America e il Vicegovernatore di Tangeri, venuto là per dare l’ultima volta il buon viaggio all’Ambasciatore, si congedarono; e noi ci rimettemmo in cammino, seguiti dai trecento cavalieri della provincia di Laracce.


Vaste pianure ondulate, coperte qui di grano, là d’orzo, più oltre di stoppia gialla, altrove d’erba e di fiori; qualche tenda nerastra e qualche tomba di santo; di tratto in tratto una palma; di miglio in miglio tre o quattro cavalieri che si riunivano alla scorta; una solitudine immensa, un sereno purissimo, un sole abbagliante: sono gli appunti che trovo nel mio quaderno intorno alla seconda marcia del cinque maggio.

Dopo tre ore di cammino arrivammo a Tleta de Reissana dov’era l’accampamento.

Le tende erano piantate, come al solito, in circolo, in una conca angusta e profonda, coperta d’erbe e di fiori altissimi che quasi c’im-