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Tutt’intorno alla piazza, ai piedi delle mura e lungo la riva del fiume, tremila soldati di fanteria che apparivano appena come quattro lunghissime strisce d’un color rosso fiammante; e sull’altra riva del fiume, una folla immensa di popolo, tutta bianca.

Nel mezzo della piazza eran schierate le casse contenenti i regali del Re d’Italia: un Ritratto del re stesso, specchi, quadri di musaico, candelabri, seggioloni.

Noi ci andammo a mettere vicino alle due schiere dei personaggi, in modo da formar con esse un quadrato aperto verso il lato della piazza donde doveva venire il Sultano. Dietro di noi v’eran le casse; dietro le casse, tutti i soldati dell’ambasciata schierati. Da un lato Mohammed Ducali, il comandante della scorta, Salomone Aflalo, e i marinai in uniforme.

Un cerimoniere di faccia arcigna, armato d’un nodoso bastone, ci schierò su due righe; il Comandante, il capitano e il viceconsole, davanti; il medico, i pittori ed io, dietro. L’ambasciatore stette cinque o sei passi davanti a noi, col signor Morteo, che doveva fare da interprete.

Tutti e sette, senz’accorgercene, ci avanzammo a poco a poco d’alcuni passi.

Il cerimoniere ci fece tornare indietro e c’indicò col bastone il punto preciso dove dovevamo restare.