Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/256

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238 capitolo xiii.

19 settembre 1852, che fu un grido di guerra. Il Papa la fece pubblicare prima ancora che arrivasse a destinazione. «Noi», diceva egli, «scrivemmo a Vostra Maestà che la legge non è cattolica; e se la legge non è cattolica, è obbligato il clero di avvertire i fedeli, anche a fronte del pericolo che incorre. Maestà, noi Le parliamo anche a nome di Gesù Cristo, del quale siamo vicario, quan- tunque indegno, e nel suo Santo Nome le diciamo di non sanzionare questa legge, che è fertile di mille disordini.

«La preghiamo ancora di voler ordinare che sia messo un freno alla stampa, che ribocca continuamente di bestemmie e d’immoralità. Deh! per pietà, che questi peccati non si riversino mai sopra chi, avendone il potere, non impedisce la causa! V. M. sì lamenta del clero; ma questo clero è stato sempre in questi ultimi anni avvilito, bersagliato, calunniato, deriso da quasi tutti i fogli, che si stampano a Torino e nel Piemonte».

Il nunzio, ch’era monsignor Antonucci, ebbe ordine di chiedere i passaporti; e dall’anno 1852 al 1859 la nunziatura di Torino non ebbe più titolare, e la resse per qualche tempo l’uditore monsignor Roberti, al quale il ministro Cibrario aveva risposto, quando andò ad annunziargli l’attentato contro il cardinal Antonelli: nello Stato romano sono dunque tutti assassini? Fu ingenuità, ma parve ingiuria.

Per tutte queste cause, la posizione dei rappresentanti sardi era addirittura tormentosa; e la destinazione di Roma non riusciva gradita a quei diplomatici. La legazione, modestissima, passò dal palazzo Salviati al palazzo Chigi; poi al palazzo Vidoni, ora Bandini; dopo, al palazzo Braschi, e infine, in via Borgognona, al numero 78. Quei diplomatici rifuggivano da ogni affermazione, anche mondana; abitavano piccoli appartamenti; non davano balli; e benchè la corte sarda possedesse la villa Rufinella a Frascati, venduta più tardi al principe Lancellotti, la legazione non vi andò mai a passare una villeggiatura. I ministri non avevano carrozza, e neppure lo stemma sulla facciata del palazzo; e benchè appartenessero a nobili famiglie, come il Cavalchini, il Della Croce, il Centurione, lo Spinola e l’Amat di San Filippo, nipote del cardinale, conducevano vita ritirata. Quando erano al palazzo Chigi, il principe soleva dire: «buonissima