Pagina:De Joinville, Galvani - La sesta crociata - 1872.djvu/198

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134 la sesta crociata.

già messo in terra ginocchione, mi vidi liberato di quel periglio all’aìta di Dio e di quel povero Saracino, il quale mi menò sino al castello là ove erano li Caporali de’ Saracini. E quando io fui con loro, essi mi levarono l usbergo, e di pietà che ebbero di me, veggendomi così malato, mi gittarono indosso una mia coperta d’iscarlatto foderata di vajo minuto che Madama mia Madre m’avea donato; ed un altro d’essi m’apportò una coreggia bianca di che mi cignessi per disopra il mio copertoio, e sì un altro de’ Cavalieri Saracini mi diè un capperoncello ch’io misi sulla mia testa. Dopo di che cominciai a tremare ed a incocciar li denti, sì della grande paura ch’io aveva, e sì ancora della malattia. Domandai allora a bere, e mi si andò cherère dell’acqua in un pozzo, e sì tosto ch’io ne ebbi messo in bocca per avallarla, essa mi salse invece per le narici. Dio solo sa in qual pietoso punto era allora, perchè sperava molto più la morte che la vita, avendo l’apostema alla gorga. E quando le mie genti mi videro così sortir l’acqua per le narici, essi cominciarono a plorare, ed a menar grande duolo; e il Saracino che m’avea salvato domandò loro perchè ploravano, ed essi gli fecero intendere ch’io era pressochè morto, e ch’io aveva alla strozza l’apostema, la quale mi strangolava. E quel buon Saracino, che sempre aveva avuto pietà di me, lo va a dire ad uno de’ suoi Cavalieri, e questi risposegli: mi confortasse a sicuro, chè egli mi donerebbe qualche cosa a bere, donde sarei guerito entro due dì, ed in così fece; e veramente ne