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coltivazione dei prodotti che meglio riescono nei rispettivi loro terreni.»

L’egregio scrittore avea frainteso le mie idee, o, per dir meglio, io non avea potuto, in una semplice lettera, spiegare minutamente il mio concetto; e chiarii l’equivoco con un’altra lettera.

Io non ho mai inteso di promuovere, o incoraggiare in un modo qualsiasi l’emigrazione dei contadini italiani; emigrazione che io credo costituisca il maggior male per la nostra Nazione, che è eminentemente agricola. Non cesso però dal lodare coloro i quali si sforzano di dirigere i contadini in punti determinati, e, invece di lasciarli andare qui e colà alla rinfusa, li aggruppano insieme cercando di far sorgere, nelle lontane regioni delle Americhe, dei villaggi, delle cittaduzze, delle province, che almeno per la lingua e per i costumi, siano italiani.

Certo, che così facendo, si diminuisce il danno che ne risente la madrepatria; ma siffatto mezzo, se lenisce il male, non può riuscire a curarlo, a troncarlo dalla radice, poichè altro non è che un cataplasma, un rimedio palliativo.

È indubitato che il contadino italiano abbandona le terre italiane perchè manca il capitale per coltivarle; nè mi curo punto d’indagare se, siffatta mancanza di capitali, sia reale o fittizia, se cioè è veramente il danaro che fa difetto al proprietario, op-